Lo sviluppo psicosociale

Ecco quali sono i compiti evolutivi che accompagnano la nostra vita relazionale

Lo sviluppo psicosociale è la progressiva acquisizione di competenze che consentono di interagire efficacemente con l’ambiente sociale.

Da un punto di vista psicanalitico, Erikson (1982) ha elaborato una teoria che descrive lo sviluppo psicosociale lungo tutte le fasi della vita, dalla nascita alla vecchiaia, secondo 8 stadi di sviluppo.

Ogni stadio dello sviluppo psicosociale è caratterizzato da uno specifico dilemma psicosociale, ovvero un compito evolutivo che nasce dalla relazione tra individuo e ambiente sociale, nel tentativo di stabilire un adattamento.
Il dilemma consiste in una coppia di termini opposti, in antitesi tra l’oro: il polo positivo rappresenta una conquista, mentre il polo negativo rappresenta un fallimento.
Ogni dilemma psicosociale diventa particolarmente evidente e cruciale in un particolare stadio del ciclo di vita e deve essere risolto per poter accedere allo stadio di sviluppo psicosociale successivo.
Il superamento del dilemma avviene con quando il polo positivo della conquista prevale sul polo negativo del fallimento.

Attraverso questo sviluppo psicosociale avviene lo sviluppo della personalità dell’individuo: a ogni stadio dello sviluppo corrisponde una diversa organizzazione di personalità. Man mano che si procede con lo sviluppo, la personalità diviene sempre più differenziata e organizzata gerarchicamente.

In questo processo l’enfasi è posta sullo sviluppo dell’identità: gli otto stadi dello sviluppo psicosociale esprimono otto fasi cruciali in cui l’individuo cerca di definire la propria identità. L’identità è concettualizzata come processo di comprensione e accettazione del Sè e della propria società.
Il tema principale della vita è la ricerca dell’identità: per tutta la vita l’individuo si domanda “Chi sono io?”. In ogni stadio, l’individuo dà una risposta diversa a questa domanda. In tal modo, l’identità subisce una trasformazione da uno stadio all’altro e le precedenti forme di identità influenzano le forme successive.

1– Il primo stadio è quello dell’infanzia, dalla nascita al primo anno di età. L’antitesi è tra fiducia e sfiducia.
In questa fase, è importante che il bambino possa fare affidamento su un ambiente affettivo costante e prevedibile, che risponde ai suoi bisogni, curandolo e proteggendolo. Solo così il bambino può sviluppare un senso di sicurezza e una fiducia in sé e negli altri.
Ad esempio, se il bambino ha sviluppato un atteggiamento di fiducia, può predire che la madre gli darà da mangiare quando ha fame e che lo conforterà nei momenti di paura o di dolore. Sarà in grado di tollerare che la madre scompaia dalla sua vista, dal momento che è fiducioso nel suo ritorno.
Un fallimento in questo stadio struttura un senso del Sé fragile e vulnerabile.

2– Il secondo stadio è quello della fanciullezza, dal secondo al terzo anno di età. L’antitesi si gioca tra autonomia e dubbio/vergogna.
Lo sviluppo del linguaggio, del pensiero e della locomozione rendono fiero, autonomo e indipendente il bambino, ma, al tempo stesso, lo espongono a fallimenti, goffaggini errori, da cui scaturiscono vergogna e dubbio sulle proprie possibilità di riuscita. Il bambino potrebbe avere la tendenza a nascondere i propri fallimenti attraverso bugie e sotterfugi per non essere scoperto e deriso.
Un fallimento in questo stadio può portare allo sviluppo di tratti paranoici del carattere, come sospetti o modi di essere inautentici.

3-Il terzo stadio coincide con l’età del gioco, dai 4 ai 5 anni di età. La contrapposizione è tra spirito di iniziativa e senso di colpa.
In questa fase avviene l’identificazione coi genitori, che il bambino percepisce come grandi, potenti e intrusivi. L’identificazione coi genitori avviene attraverso il “fare”: imporsi, intromettersi, prendere l’iniziativa, prefiggersi degli scopi e portarli avanti, competere, e via discorrendo.
In questa fase, il bambino consolida le competenze acquisite e le applica per prendere iniziative sul mondo.
Alcune iniziative del bambino possono essere troppo irruenti ed esuberanti e possono arrecare disturbo agli altri. Il bambino potrebbe infatti rompere oggetti, fare male ai compagni di giochi, avere una locomozione energica, esprimersi in modo aggressivo, disturbare gli altri.
Le iniziative del bambino che non vengono tollerate, ricevono richiami , disapprovazioni e punizioni che suscitano sensi di colpa nel bambino.
Un fallimento in questo stadio può comportare tendenza a inibizione, repressione e somatizzazione della rabbia.

4Il quarto stadio coincide con l’età scolare, dai 6 ai 12 anni. L’antitesi è tra industriosità e senso di inferiorità.
In questa fase della vita il bambino fa il suo ingresso a scuola, dove si misura con gli altri e si cimenta in compiti di apprendimento.
Quando il bambino porta a termine dei compiti con successo, prova un senso di competenza, padroneggiamento, autostima.
Quando invece incontra delle difficoltà, può sentirsi inadeguato, inferiore e mediocre. Questo lo porta a sentirsi demotivato e comportarsi in modo meccanico e distaccato.
Un fallimento in questo stadio può innescare, rassegnazione, passività e conformismo.

5– Il quinto stadio corrisponde all’adolescenza, dai 13 ai 18 anni. Il conflitto si gioca tra identità e diffusione dell’identità.
Il ragazzo deve elaborare le molteplici trasformazioni corporee, cognitive e sociali ed emanciparsi dalla famiglia delineando una propria identità.
In adolescenza il ragazzo deve integrare le molteplici identificazioni avvenute fino a quel momento con modelli diversi.
Se il ragazzo riesce in questo compito, costruirà un’identità integrata.
Se il ragazzo fallisce in questo compito, si arenerà in uno stato di diffusione dell’identità: la sua identità resterà frammentata, non coesa, priva di un nucleo centrale.
Il fallimento in questa fase può sfociare nel delirio.

6Il sesto stadio prende piede nel giovane adulto, dai 19 ai 25 anni. L’antitesi ha come antagonisti intimità e isolamento.
In questa fase l’identità risulta ormai delineata. Diventa dunque importante cercare un’altra identità in cui rispecchiarsi, che offra una validazione di se stessi, con cui fondersi, con cui stabilire una relazione intima.
Queste relazioni, amicali e/o amorose, accrescono e arricchiscono l’identità personale.
Difficoltà in questo stadio possono condurre a esperienze impulsive, con alternanza di idealizzazioni e svalutazioni; all’isolamento, se l’individuo evita di mettersi in gioco nelle relazioni per paura del fallimento e si chiude in se stesso; a relazioni sociali stereotipate, fredde, vuote.

7Il settimo stadio corrisponde all’età adulta, dai 26 ai 40 anni. L’antitesi è tra generatività e stagnazione.
L’individuo ha il desiderio di sentirsi utile per gli altri. Sorge in lui il desiderio di creare e produrre, a vari livelli: familiare, lavorativo, sociale etc.
Un fallimento in questo stadio produce un senso di sterilità, insoddisfazione, noia.

8L’ottavo stadio comprende la maturità e la vecchiaia e si estende dai 40 anni in poi. La contrapposizione è tra integrità dell’Io e disperazione.
In questa fase, generalmente il tempo e le energie rimanenti sono minori di quelle già spese.
Di conseguenza, gradualmente diminuisce la progettualità a favore di bilanci e riflessioni sul passato.
Se non si giunge all’accettazione della propria vita, può scaturire senso di disperazione (intesa come rimpianto per quanto si è fatto o non si è fatto nella vita, paura della morte e disgusto verso se stessi.

La teoria dello sviluppo psicosociale di Erikson rappresenta un ampliamento della teoria psicanalitica, poiché inserisce la dimensione psicosociale a quella psicosessuale dello sviluppo.
Nonostante ciò, essa presenta due principali punti di debolezza. Innanzitutto, manca di sistematicità e non si basa su una sperimentazione controllata. In secondo luogo, non individua i processi specifici dello sviluppo: non spiega in dettaglio come il bambino passi da uno stadio all’altro o anche come egli risolva le crisi entro uno stadio. La teoria infatti spiega che cosa influenzi il passaggio (es: maturazione fisica, genitori), ma non come avviene il passaggio, ovvero attraverso quali meccanismi il bambino impara a capire quando avere fiducia o meno.