La famiglia nella malattia cronica
Come il sistema familiare si riorganizza con la malattia cronica di un suo membro
Secondo l’approccio sistemico-familiare, un fenomeno diviene comprensibile a pieno soltanto quando è considerato all’interno del suo contesto (Watzlawick, 1967).
Il contesto primario in cui l’individuo si trova inserito è il contesto familiare. La famiglia è un sistema costituito da parti interconnesse per cui ogni azione è anche una reazione, ogni comportamento influenza ed è influenzato dal comportamento altrui. Dunque, individuo e famiglia sono profondamente interdipendenti anche dal punto di vista del benessere fisico e psicologico: la salute dell’individuo dipende strettamente dalla salute del sistema familiare, e viceversa.
Ogni comportamento dei familiari è finalizzato a garantire l’equilibrio della famiglia. In questo senso, anche la psicopatologia viene considerata una soluzione per garantire l’omeostasi del sistema familiare. Non a caso, spesso, quando il paziente designato si allontana dalla famiglia, guarisce, mentre un altro membro della famiglia si ammala al suo posto.
Stando a queste premesse, per avere una visione più chiara e comprensiva di una malattia cronica, sarebbe opportuno esplorarla non solo a livello individuale, ma anche a livello contestuale, andando ad indagare il ruolo di questo disturbo all’interno del sistema familiare.
La letteratura scientifica offre molti studi che approfondiscono il ruolo della famiglia nella malattia cronica.
Quando nella vita quotidiana irrompe una malattia cronica, il sistema familiare perde la propria condizione omeostatica e va incontro a stravolgenti cambiamenti dal punto di vista strutturale, organizzativo, evolutivo e comunicativo (Georganda, 1985).
Innanzitutto la famiglia sperimenta profondi stravolgimenti nelle alleanze, nelle coalizioni, nelle gerarchie, nei ruoli, nei confini generazionali, nelle abitudini e regole. Ad esempio, in risposta alla malattia del proprio bambino, una madre potrebbe rompere l’alleanza con il partner per costruire una nuova alleanza col figlio. In questo caso si ha quindi una frattura della relazione coniugale. Madre e bambino slittano ai vertici del sistema familiare, mentre il padre e i restanti fratelli vanno ad occupare una posizione gerarchica più bassa e periferica. Inoltre, per controbilanciare l’alleanza formatasi tra madre e figlio malato, è possibile che il padre instauri una simile alleanza con un altro figlio.
In secondo luogo, la famiglia si trova ad affrontare nuovi compiti evolutivi, che fino a poco tempo prima non erano previsti, poiché non facenti parte di un ciclo di vita familiare normale. La famiglia deve riorganizzarsi e imparare a cooperare per rispondere ai bisogni del malato. Finchè la famiglia non riesce ad adattarsi alla nuova condizione, il ciclo di vita familiare sembra arrestarsi, il tempo sembra non scorrere più, la famiglia sembra vivere in un eterno presente in cui la malattia cronica prende il sopravvento.
In terzo luogo, il disturbo può modificare i processi comunicativi della famiglia, ad esempio catapultando ciascun membro in uno stato di alienazione ed isolamento, per cui nessuno riesce più ad esprimere le proprie emozioni e i propri pensieri all’altro.
Secondo Rolland (1987), generalmente la malattia cronica esercita una pressione centripeta sul sistema familiare, esattamente come accade alla nascita di un bambino. Come l’arrivo di un figlio assorbe la famiglia nel processo di socializzazione col bambino, così la diagnosi di malattia cronica risucchia la famiglia nel processo di socializzazione col disturbo. Se l’inizio di una malattia coincide con un periodo centrifugo della famiglia, il disturbo può deragliare la famiglia dal suo momento naturale. Se invece l’esordio della patologia coincide con un periodo centripeto nel ciclo di vita della famiglia, il disturbo può, come minimo, prolungare questo periodo, oppure, nel peggiore dei casi, può bloccare definitivamente la famiglia a questa fase dello sviluppo. In ogni caso, la forza centripeta che la malattia esercita sul sistema familiare aumenta all’aumentare del rischio di inabilitazione o di morte del paziente.
Rolland (1987) inoltre, ha elaborato uno schema che aiuta, da un lato, a definire e classificare le malattie croniche e, dall’altro, a chiarire la relazione tra il disturbo e la vita della famiglia. Questo schema incrocia la tipologia della malattia con la linea del tempo della malattia. In questo modo, è possibile comprendere come la famiglia viva una particolare malattia cronica che si trova in una particolare fase temporale.
Per quanto riguarda la tipologia della malattia, essa consente di definire il disturbo in base a quattro caratteristiche: esordio, decorso, esito atteso e grado di inabilitazione esperito dal malato. Ogni tipologia identifica i relativi stressors familiari.
Le malattie croniche possono essere suddivise tra quelle che hanno un esordio acuto e quelle che hanno esordio graduale.
Le patologie con esordio acuto, ovvero che colpiscono velocemente, come ad esempio l’infarto, scaraventano l’intera famiglia in una crisi immediata, con un riadattamento maggiore compresso in un intervallo di tempo molto più breve.
Le malattie con un esordio graduale, come ad esempio l’Alzheimer, concedono alle famiglie del tempo per adattarsi alla malattia. Potrebbe essere necessaria un’alterazione significativa dei ruoli familiari per controbilanciare il cambiamento del ruolo del malato.
Il decorso della malattia cronica può essere progressivo, costante, o episodico.
Un disturbo progressivo, come l’Alzheimer, è costantemente sintomatico e peggiora gradualmente. I membri della famiglia hanno a che fare con un membro della famiglia sintomatico, la cui condizione è costantemente in peggioramento. Devono continuamente riadattare i ruoli e riorganizzare il sistema familiare per prendersi cura del malato.
Il disturbo costante avviene quando il decorso si stabilizza dopo un iniziale momento di crisi, come l’infarto. Dopo l’iniziale periodo di crisi, le famiglie possono stabilizzare l’accudimento del malato.
Il disturbo episodico o recidivante alterna periodi stabili di varia lunghezza con periodi di acute esacerbazioni o divampamenti. Malattie come l’asma o la colite ulcerativa sono esempi di disturbi episodici che richiedono ad ogni familiare di oscillare continuamente tra due ruoli: quello adatto al periodo di esplosione e quello consono al periodo di stabilità. L’incertezza e il frequente passaggio dal ruolo precedente al ruolo successivo, e viceversa, comportano un stress profondo alla famiglia.
Due aspetti cruciali che consentono di distinguere tra le varie malattie croniche sono la distanza temporale a cui la malattia potrebbe causare la morte e il grado in cui potrebbe accorciare la durata della vita.
Ad un estremo del continuum troviamo il cancro metastatico o l’AIDS, che pongono un’immediata minaccia alla vita. Questi tipi di disturbo stimolano una tendenza al lutto anticipatorio e alla separazione e inducono un senso di morte imminente che colpisce tutte le fasi dell’adattamento familiare.
All’estremo opposto del continuum ci sono le condizioni croniche che normalmente non minacciano la vita o non accorciano la durata della vita, come la cecità o l’emicrania. Comunque, nel caso di malattie che non comportano un pericolo di vita, la famiglia deve focalizzarsi su un adattamento a lungo termine e una ridefinizione dei ruoli.
L’inabilitazione si riferisce a una menomazione delle funzioni dovuta a un deficit o a una disabilità severa.
L’inabilitazione può essere dovuta a un deterioramento a livello cognitivo, motorio energetico, o a una deformità fisica o a altre cause mediche di stigma sociale.
Il tipo e la gravità dell’inabilitazione è un fattore molto significativo nel determinare lo stress esperito dalle famiglie. Per esempio, la combinazione degli effetti fisici e cognitivi di un infarto possono stressare la famiglia molto più che una lesione o una malattia che colpisce solo la produzione dell’energia della persona, ma permette il mantenimento delle facoltà cognitive.
Valutare questi quattro aspetti della malattia cronica consente al professionista di classificare il disturbo correttamente, di identificare gli stressor familiari coinvolti e di sviluppare interventi mirati per quella specifica famiglia.
Per quanto riguarda invece la linea del tempo della malattia, Rolland descrive la storia della malattia cronica attraverso tre fasi temporali: la fase di crisi, la fase cronica, e la fase terminale. Le tre fasi evidenziano i punti critici di transizione nelle fasi di sviluppo naturale di una malattia.
La fase di crisi si estende dalla comparsa del primo sintomo e al periodo della diagnosi. Questa fase crea un elevato stress per le famiglie, che sono scioccate e arrabbiate per l’improvvisa irruzione della malattia nelle loro vite, e che sono impreparate al cambio di ruolo e all’adattamento richiesto.
La fase cronica è l’intervallo di tempo che intercorre tra la diagnosi iniziale e il riadattamento della famiglia. La fase cronica richiede alla famiglia un adattamento prolungato e la stabilizzazione di un certo livello di normalità per affrontare efficacemente la malattia. In questo periodo, un compito chiave per la famiglia è il tentativo di mantenere una sembianza di vita normale e sotto le circostanze anormali della malattia cronica.
La fase finale, terminale, prende piede quando la morte diviene evidente e comincia il dolore della famiglia. Questa fase è segnata dalla separazione, dalla morte, dal lutto e dall’elaborazione del lutto.
Lawrence (2012) ci offre un quadro delle strategie di coping più adattive che una famiglia può adottare per gestire la malattia cronica.
Innanzitutto, esiste una particolare tipologia di strategie di coping che risulta particolarmente importante per le famiglie che affrontano una malattia cronica. Stiamo parlando delle strategie di coping focalizzate sulla relazione. In questo caso, i membri della famiglia gestiscono la malattia cronica impegnandosi a mantenere alta la qualità delle loro relazioni. Tali tecniche prevedono un equilibrio tra sé e gli altri, attraverso la negoziazione o il compromesso, l’assunzione della prospettiva altrui, l’empatia e l’ascolto. Questa condizione si realizza ad esempio quando ogni membro del sistema vede e affronta la malattia come un problema della famiglia piuttosto che come un problema individuale e quando adotta strategie di coping simili o complementari, cosicchè queste possano coordinarsi e rinforzarsi reciprocamente per raggiungere l’obiettivo comune.
Inoltre, i membri della famiglia dovrebbero aprirsi e comunicare l’uno con l’altro, offrirsi supporto reciproco senza avere paura ad esprimere i propri bisogni, ricercare supporto sociale al di fuori della famiglia, prendersi cura di se stessi (ad esempio attraverso la meditazione o attività spensierate e divertenti), integrare i compiti della malattia all’interno della routine quotidiana, e ricercare una “nuova normalità”, una nuova condizione di omeostasi in modo che il sistema possa riadattarsi per includere in sé anche la malattia cronica.
Se alcuni lavori, come quelli sopra citati, si sono occupati dell’impatto della malattia sulla famiglia, altri studi si sono occupati del processo inverso, ovvero dell’impatto che la famiglia ha sulla malattia. Rolland e collaboratori (1987) hanno preso in considerazione l’effetto che i comportamenti e i pattern comunicativi della famiglia hanno sul malato. Le dinamiche familiari influenzano l’autogestione del malato e la progressione della malattia cronica. Un migliore decorso della malattia risulta associato a diversi fattori come l’enfasi della famiglia sulla fiducia in sè, l’autonomia e la realizzazione personale del malato, la coesione familiare, e le discussioni aperte sul disturbo, l’attenzione premurosa ai sintomi. Al contrario, se la famiglia affronta la situazione con criticismo, iperprotezione, controllo o distrazione, la malattia avrà un esito più sfavorevole.